(di Olimpia De Casa)
«Navigare a vela con Altair era per me essenzialmente il desiderio di raggiungere la linea dell’orizzonte. Nel viaggio verso quella linea avevo trovato la mia appartenenza al mare, al vento e ai cieli». In queste righe di Davide Amante, autore di Altair, si potrebbe concentrare il senso di un’opera che, giunta alla terza edizione, ha superato le 100 mila copie vendute. Una cifra molto significativa per la letteratura nautica, una nicchia che normalmente realizza numeri più limitati.
«Attribuisco questo apprezzamento – ci racconta Davide Amante – al fatto che il romanzo si snoda intorno a due filoni: c’è l’aspetto nautico, in cui si entra nei contenuti tecnici della navigazione a vela, con dettagli che vanno dall’appennellaggio all’afforco, dalla gestione della velatura alla preparazione della barca, sino alle tecniche di conduzione con mare formato, ma anche quello legato al rapporto con il mare, in cui emergono immagini molto poetiche che trascendono le conoscenze nautiche. Questa parte del racconto, se vogliamo quella più “magica” del romanzo, ha certamente contribuito al successo di pubblico di lettori, molto più ampio rispetto a quello degli appassionati di vela in senso stretto».
USCITO ORIGINARIAMENTE NEL 2011, ALTAIR È IL ROMANZO D’ESORDIO di Davide Amante, scrittore appassionato e coinvolgente che si sta affermando come uno dei nuovi autori italiani di successo (i suoi titoli, tradotti in diversi Paesi, vendono oltre mezzo milione di copie). Dopo Altair – edito inizialmente da Leopard Publishing e passato, nel 2016, a DMA Books – sono stati pubblicati Il Dossier Wallenberg (2016), la cui edizione americana si appresta a diventare un film, Il Guardiano delle Stelle – il viaggio di Anais insieme al vento (2019) e L’Affaire Casati Stampa (2021).
«Altair nasce dal diario di bordo che tenevo durante un’esperienza di navigazione in solitario vissuta nel 2006 a bordo di un Dehler 37. Sono stati nove mesi intensi, preceduti dai sei che ho dedicato a riallestire completamente la barca: l’ho attrezzata in maniera impegnativa perchè scopo della “missione” era sostenere l’attività del Centro di Ricerca Cetacei, che avevo fondato, con una mappatura di un po’ tutto il Mediterraneo, e anche oltre, sino ad Azzorre e Canarie, sulla base della quale poter poi sviluppare progetti di protezione e ricerca». L’indagine, che offre originali e interessanti interpretazioni, soprattutto di carattere comportamentale, viene tutt’ora utilizzata da centri scientifici e stampa per la qualità e accuratezza dei contenuti.
«QUEL 37 PIEDI NON DOVEVA QUINDI INTRAPRENDERE UNA SEMPLICE NAVIGAZIONE o affrontare una regata, ma macinare miglia alla ricerca di balene e delfini. L’attività di osservazione è possibile anche in condizioni di mare formato, ma è evidente che manovrare e gestire una barca a vela – che non può certo procedere seguendo una rotta lineare, ma deve interagire con le onde e con il mare – può divenire complesso. Occorreva allora mollare gli ormeggi solo dopo un meticoloso e accorto lavoro di allestimento. La barca è stata così attrezzata con giochi di vele molto pesanti, sino a rande svedesi e fiocchi 1, 2 e 3, per poter affrontare condizioni di vento impegnative. Quelle che, puntualmente, ho incontrato: la barca, per intenderci, ha fronteggiato punte superiori ai 50 nodi. In particolare nelle Bocche di Bonifacio ho vissuto due situazioni molto difficili dovendo, molto sportivamente, andare letteralmente all’inseguimento di un gruppo di balene. Con quel vento riuscivo a stargli dietro, ma occorreva anche gestire la barca. Un’operazione abbastanza difficile in quel tratto di mare, che quando si “arrabbia” lo fa sul serio».
DOPO QUALCHE ANNO DALLA FONDAZIONE, l’autore si è staccato dal Centro di Ricerca Cetacei non condividendone più quell’idealismo spinto che caratterizza buona parte di quel mondo. «Cerco di avere un approccio più aperto – spiega al riguardo – con la consapevolezza che è giusto difendere gli animali, proteggere la natura, ma è altrettanto giusto capire che noi stessi siamo animali in natura e che quindi lo sviluppo, anche economico, fa parte della catena naturale delle cose. È l’interazione che va salvaguardata. Quindi è importante costruire consapevolezza. Alla base di tutto ci deve essere sempre la cultura perché le scelte che si assumono, le direzioni che si intraprendono, non solo mai casuali. Capire il mare e comprenderne il valore influenza anche l’economia. Si tende spesso, e non solo in Italia, a tenere invece separato lo studio e l’approfondimento dalle necessità economiche e di sviluppo, senza rendersi conto che le due cose si intrecciano molto più di quanto siamo spesso disposti ad accettare. Se si crea un giusto approccio, si crea anche innovazione, nuove imprese, nuovi filoni economici».
Il messaggio, che punta evidentemente a rifuggire dai fanatismi sterili, induce piuttosto a pensare con la mente aperta per progredire, culturalmente e anche con profitto, senza ledere i diritti di nessuno, ma, anzi, salvaguardandone le rispettive crescite. Nel romanzo – che non tralascia la storia della fondazione del centro di ricerca, iniziata, neanche a dirlo, in mare, dall’incontro con alcuni ricercatori impegnati nell’attività di osservazione di delfini e balene nelle acque a Sud della Sardegna – si apprezza anche la ricerca personale condotta dallo scrittore nel pennellare, con particolare modernità, il quadro del suo rapporto con il mare e la natura. Le osservazioni, di interesse e gusto letterario, traggono spunto dai dialoghi con alcuni pescatori toscani, custodi di tradizioni e storie legate all’interpretazione della meteorologia nautica, rielaborate poeticamente, a circa metà romanzo, con l’ingresso della Dea del mare, figura al centro di una “storia nella storia” altrettanto affascinante.
C’È POI LA MIA PERSONALE CURIOSITÀ, DA (EX) BAMBINA CRESCIUTA A “PANE E BARCA A VELA”, DI SAPERE DALLO SCRITTORE COME NASCE LA SUA DI PASSIONE. «Da un viaggio in gommone» mi risponde, sorridendo. «Una di quelle follie che si fanno a 18 anni, e quando se no? Quella volta non ero solo, ma spalleggiato da due coetanei, la mia ragazza dell’epoca e un amico. Abbiamo scelto di partire dall’isola d’Elba, scendendo in spiaggia all’alba per montare il gommone, uno Zodiac Mark 1 con un Mercury da 25 cv. Le persone, fortunatamente poche, presenti a quell’ora ci guardavano scettiche e critiche: si capiva che quel gommone sarebbe partito per un lungo viaggio. Stavamo stivando bagagli e taniche di benzina ovunque». Diretti dove?, mi affretto a domandargli. «In Corsica. Il nostro obiettivo era fare il periplo e rientrare. Con tutte le complicazioni del caso, non ultima decidere se dormire tra uno scoglio e l’altro o su una spiaggia».
INSOMMA, VERO CAMPEGGIO NAUTICO… «Decisamente sì! Abbiamo affrontato la traversata delle Bocche in condizioni più o meno accettabili anche se iniziava a montare il mare e, assolutamente ignari di dove si stesse andando, perché avevamo giusto una bussola, neanche la carta nautica, continuavamo a navigare a vista. Siamo così finiti nell’Arcipelago della Maddalena, incastrandoci in qualche modo in uno dei suoi tanti approdi. È proprio lì che nasce la mia passione, alla vista di tutte quelle barche arancioni del Centro Velico Caprera. Mi sono iscritto a un corso, sono diventato istruttore e sono rimasto per qualche anno. Il salto verso le regate e le navigazioni importanti è stato un’inevitabile conseguenza».
È PROPRIO VERO CHE IL MARE, SPECIE SE VISSUTO IN SOLITUDINE, AIUTA A (RI)TROVARE SE STESSI. Un po’ come una buona lettura, un momento intimo che ha il potere di suggerire pause di riflessione, a volte anche immedesimazioni con il protagonista e le sue vicende, sempre e comunque un volo con il pensiero, un’occasione preziosa per un’immaginazione senza filtri e confini. Quella che una “navigazione in solitario”, a bordo di una barca a vela o davanti a un camino che sia, indubbiamente suscita.
(Altair, Davide Amante, DMA Books, Terza Edizione, 320 pagine)