Quando bambina, ma anche adolescente, scendevo in garage a chiamare papà per la cena, non comprendevo come potesse, dopo una lunga giornata in studio, avere forza e voglia di dedicare altre ore a quello che ai miei occhi rappresentava a tutti gli effetti un secondo e duro lavoro. Dovevo scendere perché al primo, ma comunque reiterato, tentativo di richiamare la sua attenzione con la voce che arrivava dal piano giorno, lui puntualmente non dava alcun cenno. E non solo perché c’era sempre la radio a fargli compagnia, ma soprattutto perché quel “secondo lavoro” lo assorbiva al punto da farlo eclissare da tutto il resto. Il garage era stato sin da subito trasformato in un atelier adibito a officina meccanica, falegnameria, stanza privata sulla cui porta di accesso avrebbe potuto tranquillamente albergare un cartello con avvisi del tipo “vietato entrare” o “ingresso vietato ai non addetti”, quasi a voler custodire un mondo tutto suo, difficile da decifrare e allo stesso tempo bisognoso di attenzioni maniacali e di rispetto, tanto rispetto. A ogni mia discesa nel suo mondo seguiva però immediatamente il rito della condivisione orgogliosa, quella di un padre che prima di interrompere la sua “corrispondenza d’amorosi sensi” non può non mostrare alla figlia lo step appena raggiunto. In colpa per l’attesa che col nostro attardarci stavamo procurando al resto della famiglia, mi affrettavo a commentare «Molto bello, bravo papà!», sperando in quel modo di rimandare a un momento successivo tutti gli approfondimenti del caso. A volte ci riuscivo, altre meno.
COMPRESI SOLO MOLTI ANNI DOPO COSA RAPPRESENTASSERO PER LUI TUTTE QUELLE ORE DEDICATE AL RESTAURO, AL MODELLISMO, ALLA REALIZZAZIONE DI OGGETTI PIÙ O MENO COMPLESSI IN LEGNO. Quel profumo me lo ricordo ancora, sembra essersi cristallizzato nelle mie narici, forse perché ha il potere di farmi tornare bambina e farmi rivivere l’appuntamento quotidiano con le discese di corsa in garage, cui seguivano spiegazioni particolareggiate sulle fasi di ideazione e realizzazione, accompagnate dall’osservazione del manufatto, una parte di compensato marino in divenire passato in un attimo dalla falegnameria alla tavola da pranzo, per non dover interrompere la contemplazione e spiegare meglio quel taglio o quell’incollaggio. Solo in anni più recenti mi resi conto del valore, intrinseco e affettivo, di quelle realizzazioni ancora in ottimo stato: dagli arredi della casa dei nonni, ai mezzi scafi e modellini di aerei e motoscafi, dal tavolo da carteggio ai nuovi stipetti per la nostra barca a vela, sino a “Nuccia”, il motoscafo entrofuoribordo di 5,5 metri realizzato a 18 anni con l’aiuto di suo fratello e ancora oggi, dopo anni di felici navigazioni, bello come non mai sull’invaso custodito in un altro garage al mare. Tradizioni, passioni e saperi che nel mio caso sono purtroppo andati dispersi molto tempo fa, fermandosi la mia pratica manuale, e la mia pazienza, al seghetto da traforo manuale, sperimentato per piccoli lavoretti “artistici” con risultati solo alterni, non “alternativi”.
TUTTO QUESTO RACCONTO PER ARRIVARE, NON SENZA RIMPIANTI (attrezzi, dime e lunghe conversazioni rimarranno in quel garage e nel mio cuore per sempre), al dunque: il progetto Vela e Legno nato dalla passione per il mare, la vela e il legno, appunto, di Andrea Foschini. Il suo battesimo con l’acqua è stato su «una barca in legno, un colpo di fulmine alimentato dal profumo del legno e dal suono dello scafo che scivola sull’acqua».
«DI LEGNO LE BARCHE SI SON SEMPRE FATTE. ALCUNE, NONOSTANTE L’ETÀ NON PIÙ GIOVANISSIMA, ANCORA OGGI NAVIGANO O FANNO BELLA MOSTRA NEI PORTI. Il legno è un materiale naturale, con ottime caratteristiche, progressivamente abbandonato dalla produzione nautica perché occorre più tempo per realizzare una barca, perché una barca in legno costa di più e perché necessita di tanta manutenzione. Vero, però, che una barca in legno è un prodotto artigianale: le tagliatelle fatte a mano costeranno sempre di più e occorrerà inevitabilmente più tempo per prepararle rispetto a quelle confezionate, ma sono due prodotti molto diversi tra loro».
È QUESTO L’INIZIO – ma potrebbe tranquillamente valere anche come chiosa – del racconto che Andrea Foschini fa a Gente di Mare 2.0 per inquadrare la nascita, nel 2013 a Faenza, di Vela e Legno. «L’intento era e continua ad essere quello di costruire barche in legno, di dimensioni e prezzo contenuti, che navigano bene, e nello stesso tempo formare persone desiderose di avvicinarsi alla figura del Maestro d’Ascia».
TORNO IMMEDIATAMENTE INDIETRO NEL TEMPO, ALL’INCONTRO, AVVENUTO CIRCA 17 ANNI FA IN UN PICCOLO CANTIERE DI PANTELLERIA, con uno degli ultimi custodi dei segreti – ereditati a sua volta dai Maestri d’Ascia locali da cui aveva appreso il mestiere – alla base della realizzazione delle coloratissime lance pantesche, le imbarcazioni simbolo dell’isola che in quella estate ancora realizzava e restaurava con lo stesso orgoglio e fierezza con cui mi mostrava le mani usurate dai tagli e dalla polvere. Ciò che più mi colpì fu però il suo rammarico: la consapevolezza che ai giovani isolani, attratti dal richiamo del “continente”, non interessasse imparare quell’arte e che quella sua disponibilità a tramandare tecniche e arguzie maturate in una vita immerso in “scheletri” di ordinate in legno non avrebbe trovato mani pronte a ricevere quel testimone. Un cruccio, quello della dispersione di saperi e tradizioni artigiane senza il necessario ricambio generazionale, condiviso anche da Andrea Foschini, animato più che mai dalla volontà di dare continuità a un’eccellenza ancora importantissima del territorio italiano. Varie le iniziative messe in campo allo scopo da Vela e Legno: costruire barche a vela in legno di costo contenuto, che necessitano di poca manutenzione e belle (aspetto fondamentale in fase di acquisto); proporre corsi di formazione propedeutici al raggiungimento della qualifica di Maestro d’Ascia; salvaguardare e promuovere anche a livello istituzionale la figura professionale del Maestro d’Ascia; stilare un “albo” di professionisti che possa essere visibile a coloro che cercano artigiani e cantieri in grado di costruire o curare la propria barca; dare continuità alla professione, ormai purtroppo rara, formando ragazzi interessati a diventare Maestro d’Ascia; diramare informazioni, opportunità e notizie sul tema delle barche in legno; promuovere l’indotto della costruzione e manutenzione di barche in legno, un’eccellenza nazionale che rischia di estinguersi in pochi anni; realizzare la prima barca con un progetto di crowdfunding, al momento in corso su Produzioni dal Basso. Eloquente il commento di un Maestro d’Ascia di fronte ai piani rispolverati del Muscadet: «… questi disegni erano completi, curati nei dettagli, oggi non è più così…». «Penso non si debbano svalutare le conquiste e il modo di lavorare moderni – aggiunge Andrea Foschini -; penso, però, che oggi sia tutto troppo influenzato dalla fretta, dal “se non va si cambia” e, a volte, da una scarsa conoscenza di quello che si fa». Un motivo in più per valorizzare competenze e abilità e trasmetterle ai Maestri d’Ascia di domani. Per continuare a costruire – senza quindi fermarsi all’attività di restauro, altrettanto lodevole, – pezzi unici, fatti a mano, con quel profumo di legno capace di suggellare un amore eterno. (O.D.C.)