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"Nel ricordo di Alessandro Risolo"

Tragedia di Cutro, quelli che «a terra» sono tutti marinai

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Un Primo Piano diverso. Lontano anni luce dalla narrazione di acquisizioni, vari, saloni nautici… Un Primo Piano in ogni caso doveroso, che nasce dalla precisa volontà di stare con «la gente di mare» in un momento in cui un «certo mondo» cerca di minarne la credibilità. Il rispetto e il cordoglio per i morti non si discutono. Cutro è un’immane tragedia. Un calcio nei denti. La propaganda politica, invece, un abominio. 

(di Fabio Amendolara, giornalista di lunghissimo corso, firma di numerose inchieste di cronaca nera e giudiziaria)

Ong e opposizioni, pur di attaccare governo e Guardia Costiera, ci sono saltate sopra, dimenticando, però, che la rotta turca non è stata pattugliata dalle prime ed è stata ignorata dalle seconde. Sui social, poi, dismessi i panni da critici musicali del Festival di Sanremo e calzato il cappello da commodoro, chiunque si è sentito in dovere di dire la sua sul naufragio nello Ionio, pontificando senza aver letto un brandello di verbale e lanciando ingenerose accuse contro chi ha cercato in ogni modo di raggiungere la barca.

Guardia Costiera
Guardia Costiera

CUTRO, LA RICOSTRUZIONE

La realtà è che il caicco turco senza armo che si è frantumato in mare davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, era finito in una secca a mezzo miglio da località Le Castella. Qui il fondale ghiaioso è a meno di quattro metri. Il beccheggio provocato dal movimento del mare, che in alcuni momenti ha raggiunto forza 5, deve aver fatto sbattere su qualche scoglio chiglia e carena e mandato in pezzi la parte costruita con sistema lamellare a fasciame e ordinate. La salvezza era a portata di mano e quel viaggio, cominciato a Smirne, in Turchia, nella testa degli scafisti trafficanti di esseri umani doveva essere uno dei tanti approdi fantasma sulla costa calabrese. È per questo motivo che il caicco, nonostante le condizioni meteo proibitive, ha superato le solite mete di approdo di Roccella Jonica e della Locride. Il teatro della tragedia è una piccola spiaggia che d’estate si popola di bagnanti e che la notte tra il 25 e il 26 febbraio si è trasformata in un obitorio vista mare: 71 i morti accertati. Le condizioni dello Ionio registrate dalla Guardia di Finanza erano queste nel punto indicato dal velivolo Frontex (a circa 40 miglia a Sud/Est di Isola Capo Rizzuto): vento forza 5, onde da 2 metri e mare forza 4. Le condizioni meteo poi, però, sono peggiorate, fino a far registrare, nella mattinata del 26 febbraio, un vento da 25 nodi. La segnalazione parte da Frontex alle 23.03 di sabato 25 febbraio. L’indirizzo di destinazione è l’International coordination center di Roma, ovvero il punto di contatto italiano della missione Themis svolta dalle forze aeronavali europee in ambito Frontex. In copia, nella mail, ricevono anche diverse strutture di Frontex e l’Mrcc (Maritime rescue coordination centres) di Roma. Sulla prima foto satellitare allegata è impressa l’ora precisa dell’avvistamento: le 21.26 di sabato 25 febbraio. Il Beechcraft 200 Super King Air, velivolo dell’agenzia Frontex, è in azione di perlustrazione nei cieli del Mar Ionio da circa tre ore e 50 minuti. Inquadra il barcone e attiva i sofisticati sistemi di monitoraggio satellitare, che rilevano un telefono satellitare turco. Ma anche che c’è «una persona sul ponte superiore». La segnalazione parla anche di «possibili ulteriori persone sottocoperta». Le «telecamere termiche», infatti, «rilevano una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua». Nessuna indicazione di pericolo viene annotata. Si specifica invece che non ci sono persone in mare e che la galleggiabilità è buona. Nella scheda che accompagna le foto satellitari c’è anche scritto che il «motor boat», la barca a motore, viaggia a 6 nodi. Per chi riceve la segnalazione delle 23.03 si tratta di un’attività di law enforcement (quindi delle forze dell’ordine) e non di una richiesta di soccorso.

PIANO MARITTIMO NAZIONALE 

Il Piano nazionale Sar 2020, in linea con le Convenzioni internazionali, infatti, distingue diversi livelli di pericolo per ciascuna operazione in mare, affermando il principio che in caso di pericolo per la vita umana si devono disporre i primi interventi operativi e informativi, avviando le operazioni di soccorso con tutti i mezzi nella propria disponibilità.

Se, però, non vengono segnalati pericoli, scatta un’operazione law enforcement, quindi destinata a controlli di polizia marittima. Niente protocollo Sar. Trattandosi di un intervento di polizia, viene interessata la Guardia di Finanza.

Le condizioni del mare nel frattempo peggiorano. La Guardia di Finanza comunica l’attivazione di un proprio dispositivo che già era in mare, la Motovedetta V5006 della Sezione operativa navale di Crotone. Parte anche il pattugliatore veloce Barbarisi da Taranto. Con le onde alte, probabilmente mare forza 7, però, i militari non riescono a individuare la barca sulle coordinate indicate da Frontex. E i due mezzi navali militari rientrano. Ma segnalano alle forze di polizia terrestri che in quell’area potrebbe verificarsi uno sbarco e che, a quel punto, i potenziali passeggeri potrebbero essere intercettati dalla costa. Alle 3:50 la sala operativa della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della rete radar costiera, infatti, ha acquisito un target verosimilmente riconducibile alla segnalazione di Frontex. Gli equipaggi delle imbarcazioni della Guardia di Finanza, rientrati nel porto di Crotone, tra le ore 4:30 e 4:45, hanno quindi composto due pattuglie automontate e si sono dirette verso la località di sbarco. Arrivano sul posto alle 05:30, ma non possono fare altro che constatare il naufragio.
È la tragedia di Steccato. Che ora la Procura di Crotone sta cercando di ricostruire.

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