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"Nel ricordo di Alessandro Risolo"

Fatti non foste per ostentare, ma per navigare

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Corroborante. Cataldo Aprea, 68 anni portati alla grande sotto abiti sartoriali, anche senza proferire verbo, mette di buonumore. Sorride con la bocca e con gli occhi. Dettaglio non trascurabile: cercate su Google (oggi si fa così no?) Guillaume-Benjamin-Amand Duchenne, neurologo francese che allo studio del sorriso ha dedicato vent’anni di ricerche. Cataldo (se sei partenopeo basta il nome) ha fondato Apreamare, cantiere di Torre Annunziata in provincia di Napoli. E ha fatto il miracolo, senza scomodare San Gennaro. Ha rivisto e corretto la barca da lavoro per eccellenza, il gozzo, elevandola a quintessenza dello yachitng sotto i 18 metri, in termini di eleganza, comfort. E prestazioni. Su queste ultime poi… non ne parliamo proprio. Per lui, le doti marine di un’imbarcazione sono l’Alfa e l’Omega di un progetto, un chiodo fisso ben piantato nella testa. «Mi risulta che le barche siano oggetti fatti per navigare» va ripetendo più volte nel corso della chiacchierata.

La sua affermazione tradisce un non so che di polemico…
«Diciamo subito che nella vita ciascuno fa quello che ritiene meglio per sé. Premesso ciò, oggi vedo barche che sembrano ville. Più alte che lunghe. Mi chiedo, per esempio, come facciano a navigare, a meno che la scelta dell’armatore non sia quella di ormeggiare, o meglio di esibire una casa, giusto per far sapere al mondo che isso tien ‘a barc!”».
Che, evidentemente, non è la scelta del proprietario di Maestro 88…
«Nemmeno per sogno. Il committente mi ha chiesto una navetta per navigare. Punto. Con una carena a prova di mare formato. Una barca comoda, stabile, sicura, che avesse pochi posti letto, poche cabine e terrazze per godersi il panorama. Su queste ultime, però, ho storto il naso. L’ho ascoltato e poi gli ho chiesto: “Ma pecché vulit nu balcone? Le murate abbattibili richiedono manutenzione, sono meccanismi che prima o poi si rompono”. “Perché io voglio vedere il mare” mi ha risposto».

Quindi?
«Quindi gliel’ho ho fatto vedere, ovvio, ma a modo mio. Con un ampio pozzetto, una lounge di prua degna di chiamarsi tale. Con un enorme beach club, una lunga vetrata scorrevole e con le finestrature che si sviluppano per buona parte dello scafo».
Be’, merito anche dell’architetto Marco Casali che si è occupato delle linee esterne.
«Certo. Ha una grandissima sensibilità estetica. Per la verità, devo ringraziare anche Umberto Tagliavini, grande amico, nonché progettista che, invece, si è dedicato allo studio della carena, una semiplanante che permette a Maestro 88 di andare anche a 28 nodi».
E che cosa vogliamo dire di Gianni Zuccon?
«Gianni, carissimo Gianni! La linea Maestro è nata a Genova, nel 2003, nei giorni del Salone Nautico, al tavolo di un ristorante davanti a un piatto di pansotti in salsa di noci. Chiacchieravo con Tagliavini e con mio figlio Giovanni… Volevo fare a tutti i costi una barca più grande, ma un gozzo ha di per sé un limite dimensionale, a mio avviso non può andare oltre i 60 piedi. Così, mentre noi discutevamo “come facciamo, come non facciamo, la vorrei così, la vorrei cosà, una navetta, non una navetta, veloce, non veloce”, Gianni ha disegnato su una tovaglina di carta, che ancora conservo, lo schizzo di una barca. L’ho tenuto in un cassetto per un anno e quando l’ho tirato fuori, sono partito da lì. Nel 2005 ho messo in acqua il primo 65 piedi».
Come reagì il mercato?
«Lo yacht fece scalpore. Ad alcuni piacque, altri dissero “e che è ‘sta cosa?”».
In barba alle critiche è andato dritto per la sua strada e il tempo con lei è stato galantuomo. Apreamare, sia con i gozzi, sia con Maestro, ha un posto d’onore nell’Olimpo dello yachting internazionale.
«La mia forza è stata l’attitudine al cambiamento. Ho sempre cercato di intercettare anzitempo i desiderata dei miei armatori. Di guardare un po’ più là del mio naso. Di mettermi in discussione. Io sono uno che pensa. Anche di notte. Non vado mai a letto prima delle due».
E che cosa fa fino a quell’ora scusi?
«Accendo la pipa e mi sdraio sul divano. Ho un bel divano. Blu, comodo, a C, C di Cataldo. Un occhio fisso alla tivù, ma fondamentalmente penso, penso, penso… Al prossimo gozzo. Per esempio al 55 che uscirà tra un anno, un anno e mezzo. Anche se devo confessare che, quando ho bisogno di pensare proprio tanto tanto, me ne vado da solo a Pesc
ocostanzo, un borgo del Mille dopo Cristo, vicino a Roccaraso».
Lei, Cataldo Aprea, uomo di mare, costruttore di barche, per pensare va in montagna. Interessante.
«Sì. È un luogo incantevole, un puntino sulla cartina dell’Italia in cui vivono 800 anime, 801 quando ci sto io. Ho acquistato tempo fa una vecchia scuderia del Seicento, l’ho fatta restaurare, senza toccare nulla però. È il mio buen retiro».
E che fa a Pescocostanzo? Oltre a pensare s’intende.
«La mattina mi alzo di buonora, vado a fare colazione da Ernesto, graffa al cioccolato e crema, una bomba, e caffè. Giro per il paese e poi percorro 3 chilometri a piedi soltanto per andare a comparare il giornale, La Verità di Maurizio Belpietro. È un quotidiano coraggioso, onesto. Racconta i fatti per quelli che sono. Non prende in giro la gente. Poi vado a pranzo al Setaccio. Sei tavoli, tre primi: polenta e salsiccia, gnocchi al ragù e ravioli. Di solito vince a mani basse la polenta, è buonissima. Non senza un buon calice Rosso di Montepulciano, quindi il caffè, i saluti e riprendo, sempre a piedi, la via verso casa. E sono altri tre chilometri (li indica con le dita della mano)».
E poi?
«Leggo il giornale e accendo il biliardo».
Accende che?
«Il biliardo. Da quelle parti fa sempre freddo, così aspetto che si riscaldi il panno verde e una volta arrivato alla giusta temperatura, prendo la stecca e tra un rimbalzo e una buca, penso. Verso il tardo pomeriggio riscendo in paese, mi concedo un aperitivo, due chiacchiere, là mi conoscono davvero tutti, sa. Torno a casa e ceno».
Questo significa che lei cucina?
«Manco morto. Compro cibi pronti fatti dalla mia panettiera di fiducia».
E poi immagino che si rimetta a pensare. Un’idea partorita nell’amena magione e poi realizzata a Torre Annunziata, di grazia?
«La nuova linea di gozzi. Il 35 è nato a Pescocostanzo, come la prua del Maestro 88».

Certo che però, cambiando discorso, ne macina parecchi di chilometri a piedi.
«Tranne quando sono al volante della mia ultima pazzia».
Sarebbe?
«Un macchina da 400 cavalli a benzina».
Perché una pazzia?
«Scusi, uno che a 68 anni suonati si compra una macchina così nun è normale!».
Perdoni la confidenza, ma lei è davvero un’iniezione di vitalità. A proposito, l’ultima volta che ci siamo visti mi ha detto di essere una persona felice perché ha imparato a volersi bene. È cambiato qualcosa?
«No».

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