La nuova frontiera del rinascimento africano parte dall’economia connessa al mare, l’unica potenzialmente in grado di trasformare risorse inutilizzate, o sotto utilizzate e ignorate, in un autentico driver di produzione di ricchezza, occupazione e netto miglioramento della qualità della vita. Risorse che, come emerso dall’incrocio dei dati raccolti dal Centro Giuseppe Bono, non sono ancora oggetto di sfruttamento da parte di grandi multinazionali e potenze colonialiste attive nella maggior parte dei Paesi Africani. Parte da questo presupposto, ma anche dallo stimolo dell’imminente presentazione del Piano del mare da parte dell’Italia (dove, sommando i dati relativi alle differenti componenti del fattore mare, l’incidenza sul Pil varia fra il 24 e il 26%) e dall’avvio da parte del governo italiano di una politica panafricana, l’analisi complessiva dell’Africa Blu realizzata dal Centro Giuseppe Bono, organizzatore, in collaborazione con il comune di Genova, del primo Mare Global Forum svoltosi lo scorso 26 maggio a Palazzo Tursi.
Un’analisi che potrebbe anche trasformarsi in una piattaforma di collaborazione dell’Italia – pioniere in settori quali la desalinizzazione, i traffici su navi ferries, il risanamento ambientale delle coste – con i principali Paesi del continente africano. Blue Economy significa, infatti, trasporti via mare e logistica, ma anche sfruttamento di risorse energetiche, turismo, pesca, risanamento ambientale. Il mare e le attività correlate non sono inoltre ancora stati oggetto, contrariamente a quanto accaduto nelle attività terrestri, di quella che viene ormai considerata una “occupazione” globale da parte della Cina. Illumina, in particolare, il recente rapporto dell’Onu sui dati significativi di crescita dell’economia blu in Africa:
. 38: numero di Stati costieri
. 90%: volume di importazioni ed esportazioni effettuate via mare
. 100 miliardi di dollari: stima del valore aggiunto generato dal turismo costiero entro il 2030
. 49 milioni: numero di posti di lavoro attualmente generati nei settori dell’economia blu
. 405 miliardi di dollari: valore previsto della Blue Economy africana entro il 2030
ECONOMIA BLU: I DATI GLOBALI DELLA BANCA MONDIALE
Secondo il rapporto pubblicato lo scorso maggio dalla Banca Mondiale, l’economia blu avrebbe un valore di oltre 1.500 miliardi di dollari all’anno a livello globale, che si traduce in più di 30 milioni di posti di lavoro. Il dato – vale la pena sottolinearlo – è palesemente sottostimato dal momento che solo i lavoratori marittimi, senza includere quelli “alberghieri” a bordo delle navi da crociera, superano abbondantemente i 2,5 milioni nel mondo e che alcuni settori, direttamente o indirettamente legati al mare, non sono compresi nelle stime. È il caso del turismo costiero, dell’indotto logistico, delle attività delle marine militari e della Difesa in generale o, banalmente, delle attività di risanamento ambientale e quindi di abbattimento delle soglie di inquinamento in aree (vedi il West Africa) per decenni utilizzate come una vera e propria pattumiera industriale. Nonostante queste dimenticanze, secondo le più recenti previsioni dell’OCSE, l’economia blu (ideologicamente confinata nel solo perimetro della sostenibilità) potrebbe raggiungere e superare 3.000 miliardi di dollari entro il 2030.
Per tornare all’Africa, le zone marittime sotto la sua giurisdizione ammontano a circa 13 milioni di chilometri quadrati, compresi i mari territoriali e circa 6,5 milioni di chilometri quadrati di piattaforma continentale. Mauritius, con i suoi 1.850 chilometri quadrati, è uno dei Paesi più piccoli del continente africano e del mondo. Ciò nonostante, con le sue acque territoriali, diventa di 1,9 milioni di chilometri quadrati, grande quanto il Sudafrica.
Nell’ipotesi di uno sfruttamento intensivo, l’energia rinnovabile degli Oceani ha potenza sufficiente a fornire fino al 400% dell’attuale domanda energetica globale (dato dell’Agenzia Internazionale dell’Energia). Anche in quest’ottica, l’economia blu può quindi svolgere un ruolo importante nella trasformazione strutturale dell’Africa, ma – come evidenziato già dieci anni fa dalla London School of Economics e dal Grantham Research Institute in un handbook dedicato – è indispensabile “una migliore comprensione delle enormi opportunità che emergono, investendo e reinvestendo negli spazi acquatici e marini dell’Africa per spostare l’ago della bilancia dalla raccolta illegale, dal degrado e dall’esaurimento a un paradigma di sviluppo blu sostenibile, al servizio dell’Africa di oggi e di domani. Se sfruttata appieno e ben gestita, l’economia blu africana può costituire la più importante fonte di ricchezza e catapultare le fortune del continente”.