Emergenza Salento
"Nel ricordo di Alessandro Risolo"

Alessandro Cappiello, la stabilità fatta persona

Pubblicato il:

Condividi:

Se la stabilità di un palazzo dipende dalle sue fondamenta, quella di una barca risiede nella capacità di riportarsi prontamente all’assetto d’equilibrio dopo un improvviso spostamento. Stabilità, fondamenta, equilibrio rimandano, più in generale, ai concetti di tranquillità, sicurezza, benessere propri di una progettualità finalizzata a giocare d’anticipo, a costruire un futuro che, partendo da solidi punti fermi, sa adattarsi con scienza e coscienza agli scossoni e ai turbamenti della vita e delle correnti. La digressione filosofica non è peregrina né azzardata. Muove infatti dalla consapevolezza che quando si naviga ci si trova in un contesto, fisico ma anche intimo, per sua natura mutevole: l’esperienza del viaggio, che sulla terraferma come in cielo e in mare è un’espolarazione prima di tutto introspettiva, sarà tanto più serena e appagante quanto maggiore sarà la capacità di contrastare scossoni e variabili in campo.
La stabilizzazione in ambito navale ha più di cento anni. «Già nel 1890 esisteva un giroscopio installato a bordo di una nave che collegava Londra a New York. Fu il primo sistema ad essere inventato», spiega l’ingegner Alessandro Cappiello, fondatore e Ceo di CMC Marine, l’azienda italiana nata nel 2005 che ha creato e brevettato il primo sistema di stabilizzazione con pinne elettriche, diventando il punto di riferimento del mercato. Diciotto anni di onorata attività al servizio della produzione cantieristica internazionale (nella foto sotto l’Azimut Grande Trideck) che, anche all’ultimo Monaco Yacht Show, ha portato a bordo dei più importanti e ricercati super e mega yacht i sistemi di stabilizzazione elettrica di CMC Marine.

Azimut-Grande-Trideck

Come è maturata l’idea di dedicarsi a questa particolare filosofia?
«Dalla laurea in ingegneria navale e, soprattutto, dai miei trascorsi professionali. Ho infatti lavorato sempre nel campo della dinamica dei corpi galleggianti, maturando due esperienze in particolare per me molto formative: la più lontana, tantissimi anni fa, in una società di navigazione; l’altra, prima della nascita di CMC Marine, in Rodriquez, insieme all’ingegner Alcide Sculati. Perché cito questi due impegni? Perché mi sono stati utili a mettere insieme tutto: il punto di vista dell’utente, anche se si trattava di barche commerciali, e quello del costruttore, ma anche del grande innovatore quale era Rodriquez Engineering. Ho quindi deciso di intraprendere un’iniziativa mia, partendo da ciò che sapevo fare, semplicemente dal mio mestiere. Gli anni di esperienza mi hanno consentito di pormi una domanda, forse banale ma fondamentale, calandomi nei panni dell’armatore e non in quelli dell’ingegnere: Non ne so nulla, che cosa vorrei?». Quale fu la sua risposta? «Devo ripensare, riprogettare l’impianto di pinne stabilizzatrici. Ho infatti iniziato nel solco dell’oleodinamica, ma sapevo che c’era di meglio. Nel 2008, CMC Marine presentò così la sua prima pinna ad attuazione elettrica. Che, concettualmente, non era molto dissimile da quanto proposto oggi, quindici anni dopo. Era molto più ingombrante, questo sì. Se confronto la dimensione di quella pinna, di quella meccanica, con quelle delle stessa potenza di oggi, era quattro volte più grande. Quindi, venendo da un mondo in cui sei stato abituato a confrontarti con la dinamica di una nave, a chiederti come deve rispondere un impianto pinne, l’attuazione elettrica a me sembrava una cosa normale. La pubblicazione del brevetto, datata 8 ottobre 2008, l’atto immediatamente conseguente».

Quali vantaggi portò il passaggio da stabilizzazione e thruster oleodinamici al sistema elettrico?
«L’impatto fu notevole. La differenza, dal giorno alla notte, fu universalmente percepita. Era dovuta alla compattezza e silenziosità dell’impianto, che poteva essere montato facilmente con cavi, anziché tubazioni oleodinamiche con tutto quello che ne conseguiva, occupare un volume ridotto e garantire l’abbattimento del rumore, plus fondamentale in termini di comfort a bordo. I vantaggi successivamente apprezzati erano legati all’efficienza energetica, con un assorbimento pari a 1/3 rispetto a quello richiesto da un impianto oleodinamico, e alla facilità d’uso, con gli armatori che venivano ai saloni per ringraziarci. C’era l’orgoglio, da parte loro, dell’essere stati i primi a credere nella nuova tecnologia. Da lì la nascita della simpatia, quando non della vera amicizia, maturate nello stare a bordo e nel vivere assieme questo nuovo passaggio tecnologico, che si traduce in un sistema molto, molto affidabile». Una consuetudine, quella della gratitudine allo stand, che si ripete ancora oggi grazie a un affinamento costante delle proposte messe a punto per ogni genere di unità e aspettativa. A proposito, a quale range e tipologia di imbarcazioni si rivolge la vostra produzione?
«Oggi installiamo i nostri impianti a bordo di progetti molto diversi tra loro: dai piccoli trawler da 40/50 piedi che popolano i laghi degli Stati Uniti o il mare del Maine sino agli yacht di 80/90 metri. Sono, infatti, impianti che possono andare su tutte le tipologie di navi. Siamo principalmente focalizzati nel diporto solo perchè è questo il mercato più forte in Italia. Nel frattempo stanno maturando applicazioni pensate per il trasporto passeggeri e, all’estero, per i patrol boats, il corrispettivo delle nostre motovedette».

CMC-Marine-Integrated-System
Su quale tecnologia si basa il sistema Stabilis Electra?
«È un brevetto europeo del 2012, che copre sostanzialmente un attuatore elettrico con un riduttore epicicloidale che muove la pinna quando l’imbarcazione è all’àncora. SE è il nome della grande famiglia che racchiude i nostri impianti. Abbiamo all’incirca dieci brevetti in tutto, tra europei, americani e persino uno cinese. Interessante è quello, anch’esso europeo, che copre gli algoritmi di regolazione, perchè il grande vantaggio dell’attuazione elettrica non è stato solo quello di avere meno volume, silenzio, affidabilità e un consumo energetico minore, ma anche la possibilità di scoprire altri sistemi e metodologie di regolazione dell’impianto. Mi spiego banalizzando. Se, prima, l’approccio era “apro una valvola, la pala fa qualcosa, vediamo cosa”, oggi siamo noi che, in funzione della dinamica della barca, diciamo alla pala “muoviti così, accelera, questa è la tua velocità, questa è la tua traiettoria”. La precisione di movimento molto più alta consente ovviamente di alzare il livello di comfort a bordo».
Come funziona il sistema quando l’imbarcazione è alla fonda?
«In questo caso occorre imprimere alla pala una velocità, e quindi un’accelerazione, molto alta, mediamente tra 80 e 100 gradi al secondo. Il che significa che in un secondo la pala fa tutto il suo movimento avanti e indietro. Utilizziamo, in sostanza, l’energia cinetica che dissipiamo per imprimere la forza e quindi stabilizzare l’imbarcazione».
E quando, invece, lo yacht è in navigazione?
«Quando la barca è in marcia, essendo più stabile in funzione della velocità (poi dipende dalla forma specifica e dal tipo di carena, ma qui si entra nei dettagli), l’impianto è chiamato a una modulazione: la pinna funziona da ammortizzatore a tutti gli effetti. Quindi è un sistema che addolcisce il rollìo in funzione della velocità».
Tutto questo non sarebbe possibile senza una mente, senza il software di controllo cui si accenava pocanzi.
«Dia-log, questo il suo nome, è il cuore dell’impianto: un software in continua evoluzione data la continua evoluzione delle imbarcazioni. Se confrontiamo quelle di oggi a quelle di dieci/quindici anni fa, registriamo parametri diversi in relazione, ad esempio, alle larghezze o alle immersioni. Attraverso una serie di sensori, il software riceve sostanzialmente i movimenti dell’imbarcazione: sia degli angoli, e quindi rollìo e beccheggio, sia di velocità e, talvolta, di accelerazione. I dati in arrivo consentono agli algoritmi di individuare la dinamica della barca. Non conosciamo lo stato di mare, nel senso che questo tipo di segnalazione non arriva. Dobbiamo, per forza di cose, agire quando il fenomeno sta avvenendo. Le condizioni di mare non mutano, tuttavia, velocemente e il sistema, che registra anche i moti della nave, ci consente di capire non solo come si sta muovendo, ma anche come si muoverà. Possiamo quindi definirlo un sistema predittivo che si adatta alla dinamica dell’imbarcazione».

CMC_Waveless_STAB_serie
Quali sono le principali differenze rispetto a un sistema giroscopico?
«Il giroscopico è un sistema passivo, le pinne sono un sistema attivo. Detto in altri termini: il giroscopio funziona con una forte dinamica mentre le pinne si adattano alla barca. Questo fa sì che un giroscopio funzionerà in un campo di frequenze o di periodo molto ristretto, quindi con quella dinamica e con quel mare: più forte sarà quella dinamica, più velocemente si muoverà l’imbarcazione, meglio funzionerà il giroscopio. Se l’imbarcazione non si muove con quella velocità e con quella dinamica, meno funzionerà il giroscopio. Se proprio sono lontano da quella dinamica, il giroscopio non serve.
Le pinne stabilizzatrici si adattano, invece, a un vasto spettro di frequenze, potendo lavorare più o meno velocemente in funzione della dinamica dell’imbarcazione. Ritengo che il giroscopio abbia senso quasi esclusivamente nel caso in cui non possano essere montate le pinne».
Ad esempio quando?
«Ad esempio su un motoscafo di 12 metri, con un pescaggio di mezzo metro: le pinne non le installo semplicemente perchè non ho lo spazio fisico in cui metterle. In ogni caso non ritengo si possa definire un sistema migliore o peggiore dell’altro, funzionano semplicemente in maniera differente. È più utile, quindi, guardare sempre al progetto nel suo insieme».
Quanti sistemi di stabilizzazione fornite mediamente in un anno?
«Nell’ultimo circa 370. Il che significa che ogni anno 370 imbarcazioni installano un nuovo impianto CMC Marine. Se ai sistemi di stabilizzazione aggiungiamo le timonerie e i thruster, la produzione annuale globale sale a circa 650/660 impianti». Che, per rimanere in tema di numeri, corrispondono a un fatturato di quale ordine di grandezza? «Abbiamo chiuso l’ultimo esercizio a 34 milioni di euro, 35 come Gruppo, registrando un +35% rispetto all’anno precedente». Quale peso ha per voi la voce Ricerca e Sviluppo? «Mediamente investiamo dal 3 al 3,5% del nostro fatturato in R&D. Stiamo lavorando a diversi progetti, di cui uno in particolare abbastanza rivoluzionario, di cui però non posso al momento anticipare nulla. Spero di poterlo fare tra qualche mese. Riteniamo, e questo invece è già scritto, che le soddisfazioni maggiori arriveranno dal “matrimonio” tra impianto di stabilizzazione e imbarcazione, dalla lora capacità di dialogare e integrarsi. È il motivo per cui continuiamo a muoverci nell’alveo dei sistemi sempre più innovativi e tecnologicamente avanzati che, con un partner tecnologico eccellente quale Mitsubishi Electric, non potranno che progredire ulteriormente, soprattutto in relazione allo spettro di possibilità offerto dalla nuova fase di componentistica Mitsubishi che sta entrando sul mercato». Il prossimo passo? «L’inaugurazione, entro la fine dell’anno, di un nuovo stabilimento a Salerno, a due passi dal Marina d’Arechi, in cui spingeremo ancora di più l’internalizzazione della produzione e, in particolare, delle lavorazioni meccaniche e della parte in materiale composito. Un’area di 2.500 metri quadrati coperti e 10.000 di piazzale, che ci permetterà di assumere altre 30/40 persone che si aggiungeranno alle 85 che già operano nelle sedi di Cascina, Poole e Fort Lauderdale». E che daranno stabilità, oltre che a un numero “x” di imbarcazioni e navi, ad almeno altre 30/40 nuove famiglie.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui