Italians do it better. Non è certo un caso e nemmeno opera della dea Fortuna che un emiro (impossibile dichiararne le generalità) abbia «alzato il telefono» per commissionare a Emanuele Maria Valdenassi, a capo dell’omonima azienda, un’opera davvero unica. Trattasi del carabottino in teak più grande del mondo: è lungo 460 centimetri per 180 di larghezza, con uno spessore pari a 3,5 centimetri e un peso complessivo di ben 120 chilogrammi. Ma non finisce qui. Le notizie in realtà sono tre: oltre alla proposta di per sé lusinghiera, al primato che la stessa rappresenta, si aggiunge non da meno la collocazione, decisamente sui generis.
L’OGGETTO IN QUESTIONE NON SARÀ ALLESTITO A BORDO DI UN MEGA YACHT, bensì nella residenza reale del misterioso emiro. Sarà il piano di un tavolo sul quale non è dato sapere se l’acquirente cenerà, siglerà contratti milionari o che altro. La verità è che per realizzarlo l’azienda di Arma di Taggia ha impiegato 80 ore di lavoro e un’enorme quantità di materiali. Nel dettaglio 25 tavole di teak di svariate lunghezze e spessori, 800 millilitri di resina epossidica catalizzata per l’incollaggio e 40 dischetti di diverse grane per la levigatura. Non esattamente un gioco da ragazzi. Ma l’impresa è riuscita. Alla grande.
EMANUELE MARIA VALDENASSI, A CAPO DI UN’AZIENDA CHE DA OLTRE UN VENTENNIO È SPECIALIZZATA nella fornitura di arredi esterni per yacht e super yacht, ha onorato le aspettative dell’emiro. Queste le sue parole: «La richiesta, non appena è arrivata, ci ha reso particolarmente orgogliosi, non solo come azienda, ma anche come italiani. È un’ulteriore conferma del nostro “saper fare”, unico e inimitabile. È un’ulteriore prova del fatto che la nautica italiana, nel suo significato più ampio, ha nel mondo autorevolezza e riconoscibilità senza pari. Noi, essendone espressione, abbiamo fatto la nostra parte. E continuiamo a farla». Il carabottino come tavolo da interni è anche la prova che l’ingegno italiano non teme sfide. Anzi, le raccoglie con grinta ed entusiasmo. «È stata una bellissima esperienza anche perché ci ha permesso di metterci alla prova fuori dalla nostra “comfort zone”, cioè quella delle imbarcazioni» ha precisato mister Valdenassi.